Scopri con noi la Marca Trevigiana
Re radicchio
Lo chiamano “il Re dell’Inverno” e i trevigiani di tutte le età ne vanno fieri, essendo unico ed inimitabile: il radicchio rosso. Difeso nella sua originalità da un Consorzio di Tutela composto da una novantina di produttori, rappresenta il simbolo della città in tutta Italia e non solo. E’ coltivato esclusivamente in 24 Comuni sparsi tra le province di Treviso, Venezia e Padova, nell’area pianeggiante del Veneto centrale, caratterizzata da estati calde e inverni piuttosto rigidi che incidono profondamente nel ciclo vitale della pianta. In terreni fertili e soprattutto ricchi di acqua, nell’area solcata dalla cosiddetta “linea delle risorgive” che divide l’alta dalla bassa pianura. E’ proprio l’abbondanza di acque pure l’elemento determinante nel processo di produzione del Radicchio Rosso di Treviso.
“El radicio” (come dicono le massaie trevigiane) ha radici assai lontane nel tempo. La sua presenza in area veneta potrebbe esser datata, stando ad alcuni riferimenti iconografici, nel Cinquecento. Come dimostrato dalle presenza in un quadro di Leandro Da Ponte intitolato “Le nozze di Cana” (1579-82) di ceste di prodotti ortofrutticoli tra cui alcuni radicchi rossi. La datazione precisa per l’avvento di quella cicoria in Veneto si perde dunque nel passato, basata su racconti della fantasia popolare, capace di tramandare leggende, tradizioni e aneddoti. Così si racconta di alcuni uccelli che avrebbero lasciato cadere il seme di questa speciale cicoria sul campanile del paese di Dosson di Casier, località alle porte di Treviso, trovato poi dai frati che l’avrebbero accudito con cura e coltivato. Decisamente più concreta la tesi secondo cui il vivaista Francesco Van De Borre, giunto nella Marca dal Belgio nel 1870 per curare la realizzazione di un giardino all’inglese nella trevigiana Villa Palazzi, avrebbe trasmesso le abilità dell’imbianchimento delle cicorie belghe. E’ la tesi che prevale (sostenuta anche dai suoi discendenti, famosi coltivatori locali) che si oppone al convincimento che la nascita del radicchio rosso di Treviso derivi dalla speciale tecnica di “forzatura” a cui i contadini delle Marca erano costretti per conservare durante l’inverno la cicoria raccolta dai campi per salvarla dal gelo invernale. Trasferita nel tepore delle stalle, la pianta, anziché marcire completamente, conservava dei cuori dal gusto più buono e croccante. Contando su molta acqua sorgiva, tipica dei territori trevigiani, i contadini avrebbero poi introdotto questo fondamentale elemento nel processo produttivo. Ma l’unica vera attestazione storica è datata 20 dicembre 1900, quando sotto la Loggia di Palazzo dei Trecento a Treviso venne realizzata la prima Mostra del Radicchio, approdata nel 2016 all’edizione109!
E’ il palcoscenico sul quale “Il Re” si esibisce, mostrando le proprie qualità migliori nella versione “tardivo”: si presenta nella tipica forma lanceolata, con germogli regolari e compatti che tendono a chiudersi all’apice, con le foglie dal colore rosso intenso contraddistinte da una nervatura principale di colore bianco. La sua forma inconfondibile lo rende oltremodo regale nell’aspetto, unico nel sapore con quel suo gusto gradevolmente amarognolo e croccante. Perfetto nelle preparazioni a crudo ed eccezionale nelle sue declinazioni; dagli antipasti, ai primi piatti, ai secondi, ed infine come contorno, addirittura come base di prelibati dessert e grappe che a Treviso conquistano.
Il Radicchio Rosso di Treviso IGP precoce invece presente una taglia piuttosto imponente
e richiede meno lavorazioni manuali rispetto al fratello maggiore.
Sa ben difendersi per versatilità culinaria e per aspetto, al punto da rendersi protagonista di ricette tradizionali e preparazioni creative degne di grandi chef. La raccolta comincia il primo di settembre e, al contrario del tardivo, la sua maturazione si raggiunge in pieno campo dopo che le foglie vengono legate con un elastico e tenute serrate, prive di luce, per 15-20 giorni.
Se queste due produzioni sono più vicine alle tradizioni di Treviso città, la vicina Castelfranco, con la sua specie di radicchio variegato, merita popolarità per “il fiore che si mangia” la cui vocazione principale resta quella dell’insalata grazie al gioco di colori di cui è capace.
Tiramesù, il dolce universale
Poco importa se la sua paternità è contesa e la disputa sulle sue origini con molti comuni friulani sia aperta: il Tiramesù è, di fatto, il dolce dei trevigiani, loro ambasciatore quale dolce italiano più famoso nel mondo. Il suo nome è presente nel vocabolario di ben 23 lingue diverse e Tiramesù è la quinta parola italiana più conosciuta in Europa. Questo dolce così facile da preparare ma così complesso nel gusto e nella buona riuscita secondo la ricetta classica, è una leggenda, e come tutte le leggende è avvolto nel mistero. Se la Toscana, il Piemonte e l’Emilia Romagna ne rivendicano l’origine ancor prima che il Friuli, è comunque certo che il pasticcere Roberto Linguanotto nel 1970 portò al celebre ristorante Le Beccherie la propria esperienza maturata in quindici anni in giro per il mondo.
Fu Alba Campeol ad invitarlo ad inventare un dolce che divenisse tipico del locale, fatto con ingredienti semplici e genuini, adatto ad essere proposto a fine pranzo a porzioni. Linguanotto accettò la sfida e creò quel “Tiramesù” (come recita il nome originario declinato in rigoroso dialetto trevigiano) capace di dare una sferzata di energia, grazie al vitale apporto di caffè e uova magicamente miscelate. Divenne il dolce delle Beccherie, originale anche perché inizialmente servito in una teglia circolare. Testimone attendibile di quel successo e della sua cronologia e paternità fu Giuseppe Maffioli, attore e gastronomo al contempo, in un articolo nella sua rivista Vin Veneto già nel 1981.
Va detto che la ricetta base del Tiramisù, nacque nella cucina della famiglia Garatti, dalla fantasia della nonna degli attuali proprietari de Al Foghér. Per la prima volta in onore della Regina di Grecia, in visita a Treviso durante gli anni ’50, fu offerta la Coppa Imperiale che del tiramesù è dunque progenitrice.
Oggi i custodi della bontà ineguagliabile del tiramesù sono alcuni pasticceri trevigiani che lo propongono secondo la ricetta canonica: Franco Ardizzoni nella omonima pasticceria di via Montello, Mario e il figlio Andrea Francia, pasticceri di terza generazione in Borgo Cavalli, alla pari delle pasticcerie Tiffany di Piazza Matteotti e a Sant’Angelo o della centrale e Antica Pasticceria Nascimben, fondata da Agostino Nascimben nel 1865 nel cuore di Treviso, (oggi in viale Luzzati, 15 e in Piazzetta della Torre), che ha depositato un nome che evoca quello del dolce tipico, mantenendone la bontà: Trevissù.
I frutti dell’Eden
Un altro prodotto della terra celebra le glorie gastronomiche di Treviso in giro per l’Italia: si tratta dell’asparago bianco, che in provincia vanta due autentici poli produttivi: Badoere e Cimadolmo, a fronteggiarsi entrambe, a suon di serate gastronomiche, sagre e ricette, e a dimostrare di valere quanto e forse di più dell’altrettanto celebrato asparago bianco di Bassano.
E’ singolare come la coltura di questo prezioso prodotto primaverile abbia inciso così nelle scelte dei contadini del Trevigiano. Le sue origini sono lontanissime, poiché gli esperti dicono che provenga addirittura dalla Valle dell’Eden nell’antico Egitto, importato successivamente in Spagna. Quindi dai Romani, che già nel 200 a. C. ne apprezzavano il gusto e le proprietà salutari. Le fortune di quel germoglio valicarono i confini iniziali per affermarsi in Francia, Inghilterra e nel Nord America.
Sembra insomma che proprio i Romani portarono nel Veneto la coltivazione degli asparagi (il che sarebbe concretamente avvalorato dalla vicinanza di Cimadolmo a Oderzo). Nei secoli successivi, favorita dopo l’ultimo conflitto mondiale dalla trasformazione delle mezzadrie e dell’abbandono degli allevamenti del baco da seta tipici del Trevigiano, la produzione locale ha trovato adeguato sostegno in particolari combinazioni di fattori produttivi, manualità e artigianalità, indispensabili nella raccolta e confezionamento, ma anche climatici. Insomma non si può pianificare un tour nella Marca Trevigiana resistendo alla tentazione di fare una capatina a Badoere (dove nel 1968 venne organizzata la prima Mostra Provinciale dell’Asparago), per scoprire la celebre e bellissima Rotonda (nella foto a fianco) ma anche i molti locali che propongono nel più tipico dei modi gli asparagi locali, serviti lessi accompagnati dalla salsina di uova sode o base per un risotto indimenticabile.
Sull’altro fronte, quello di Cimadolmo, Madre Natura ha dato una grossa mano grazie al clima, il terreno reso fertile dal limo lasciato dal corso del Piave e l’abbondanza di acqua.
L’impegno negli undici Comuni legittimati a vantarsi dell’I.G.P. di Cimadolmo (ottenuta prima in Europa), trova riscontro nei successi commerciali in tutto il mondo.
Il Prosecco patrimonio di queste terre
Il Prosecco è vino forse più amato dagli italiani. Lo dicono i dati più recenti: 90 milioni di bottiglie vendute in tutto il mondo, dalla Germania (il primo mercato estero per l’esportazione), all’Austria, gli Stati Uniti. Un successo mondiale che premia la capacità enologica di decine e decine di produttori e qualifica ancor di più l’immagine del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, che raggruppa tutte le categorie di produttori: i viticoltori, i vinificatori, gli imbottigliatori, al quale fa capo un’ottantina di aziende comprese nel Veneto e ancor prima in una provincia, quella di Treviso, che gode delle eccellenze di due aree enologicamente votate e qualitativamente vocate. Divise tra loro da una sana competizione commerciale, ma unite nell’impegno a mantenere alta la qualità del prodotto: Conegliano e Valdobbiadene. L’una la capitale culturale (perché fu Malvolti ad inventare il processo produttivo che portò all’affermazione del Prosecco) e l’altra cuore produttivo. La viticoltura qui ha origini antichissime. La prima citazione scritta che lega il Prosecco a questo territorio risale al 1772. Nei secoli Madre Natura ha fatto il resto: la posizione tra il mare e le Prealpi assicura un clima temperato ed una costante ventilazione, che permette alle uve di asciugarsi rapidamente dopo le piogge estive.
Il “mito” del Prosecco ha trovato forme e prodotto per valorizzarsi agli occhi di una clientela sempre sensibile alla qualità, ma anche di una platea di “addetti ai lavori” capaci di offrire e servire al meglio il prodotto.
L’elenco degli aderenti al Consorzio qualifica il novero dei produttori, appagando la curiosità dell’appassionato a caccia di una buona bottiglia. Speciali classifiche promuovono le migliori marche. Ovviamente variano da annata ad annata e sono capaci di interpretare le mode, intercettando i giudizi degli esperti, i favori delle testate giornalistiche, rendendo concreto un marketing che ogni azienda fa promuovendo il proprio prodotto, facendo di molti ristoratori ed enoteche gli “ambasciatori” della qualità, capaci di decretare il successo del loro vino.
In realtà a Treviso e provincia un buon Prosecco si può trovare ovunque, patrimonio prezioso che non a caso ambisce al riconoscimento planetario dell’Unesco quale bene dell’Umanità.